09 aprile 2024

Eurozona: inflazione domata, economia in letargo

Secondo Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS WM Italy, un taglio dei tassi d’interesse già nella prossima riunione di giovedì 11 aprile non sarebbe affatto prematuro

I dati economici pubblicati negli ultimi mesi indicano, quasi senza ombra di dubbio, che crescita e inflazione sono in forte rallentamento. La zona Euro è pressoché in stagnazione e a marzo l’inflazione si è fermata al 2,4%, il livello più basso da luglio 2021, e solo un soffio sopra il target della Banca centrale europea (Bce). L’inflazione Core, depurate da energia e alimentari, è rimasta leggermente più elevata al 2,9%, ma ha riportato comunque una chiara contrazione.
Questo ridimensionamento è particolarmente importante perché segue un periodo di volatilità dei dati dovuto anche alle iniziative in ordine sparso nel campo dell’energia. Infatti, i diversi governi hanno adottato approcci diversi con il risultato, ad esempio, che a marzo l’inflazione è scesa in Germania e Francia, mentre è cresciuta in Italia e Spagna.

Nei prossimi mesi l’inflazione continuerà a essere volatile, ma comunque in discesa. La maggiore incertezza riguarda l’inflazione nei servizi, che si dimostra più difficile da contenere e corre ancora al 4%.
Non bisogna, però, perdere di vista l’andamento economico: la zona Euro, di fatto, è in stagnazione da oltre un anno. La crescita è stata solo di mezzo punto percentuale lo scorso anno e non ci sarà un significativo miglioramento nel 2024. La Germania addirittura ha registrato una piccola contrazione nel 2023 e si manterrà appena sopra lo zero quest’anno.

Per quel che valgono, alcuni recenti sondaggi economici suggeriscono una ripresa della manifattura nei prossimi mesi, ma l’entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità porterà a una politica fiscale più restrittiva a detrimento della domanda interna. Inoltre, con tutta probabilità una decina di Paesi, tra i quali l’Italia, si troveranno a dover far i conti con la procedura per deficit eccessivo che determinerà un’ulteriore stretta.

Sullo sfondo, la politica e la geopolitica presentano ulteriori incertezze: le elezioni presidenziali americane, quelle europee, le guerre tra Israele e Hamas e tra la Russia e l’Ucraina, oltre alla rivalità tra Cina e Stati Uniti sono tutte incognite che potrebbero avere ripercussioni economiche negative.

Su queste basi, a mio avviso, un taglio dei tassi d’interesse già nella prossima riunione di giovedì 11 aprile non sarebbe affatto prematuro.

Tuttavia, nelle minute dell’ultima riunione del Consiglio direttivo della Bce è stato sottolineato che sarebbe preferibile aspettare fino a giugno, per poter raccogliere maggiori dati sulle dinamiche salariali.
La rapidità dei tagli dei tassi d’interesse nel resto dell’anno dipenderà in larga misura dall’andamento economico, ma, in generale, ci aspettiamo una certa cautela. Complessivamente, stimiamo una riduzione di un punto percentuale nel corso di quest’anno e immaginiamo che per la fine del primo trimestre del 2025 i tassi saranno scesi al 2,5%.

A lungo termine, la diminuzione dei rendimenti potrebbe essere più importante. Dalla crisi finanziaria globale del 2008 si registra un continuo aumento dell’indebitamento pubblico, che in presenza di tassi d’interesse più elevati è diventato più oneroso. Proprio le politiche di gestione del debito e l’interazione di questa dinamica con le altre grandi tendenze in corso, come il riarmo, l’invecchiamento della popolazione, la deglobalizzazione e la transizione energetica, caratterizzeranno i prossimi anni.

Sicuramente per affrontare queste sfide saranno necessari grandi investimenti e quindi occorrerà che i costi di finanziamento siano contenuti. Questa necessità potrebbe riportarci a uno scenario di repressione finanziaria, vale a dire rendimenti dei titoli di Stato della zona Euro sotto l’inflazione.
Per queste ragioni, penso che la finestra che il mercato obbligazionario attualmente offre in termini di rendimenti sia ancora da sfruttare, rendendoli duraturi con scadenze medio/lunghe e limitando la liquidità alle effettive necessità.
Le obbligazioni di buona qualità hanno poche probabilità di perdere valore, se tenute a scadenza, e al momento anche quelle con i migliori rating presentano rendimenti reali positivi, vale a dire superiori all’inflazione attesa.

Man mano che l’economia rallenta e l’inflazione scende, gli investitori inizieranno a posizionarsi per una riduzione dei tassi d’interesse, che ne dovrebbe far aumentare le quotazioni. Potrebbero anche presentare un andamento anticiclico: se l’economia dovesse sorprendere in negativo, le Banche centrali si vedrebbero costrette ad accelerare i tagli e ciò potrebbe spingere al rialzo le quotazioni delle obbligazioni di buona qualità con scadenza medio/lunga.
(Articolo a cura di Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS WM Italy)